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La storia di Anagni

La storia completa di Anagni

Chi abitava nella Valle del Sacco prima che
sorgesse Anagni?
Le popolazioni che abitavano nella valle del Sacco prima che fosse fondata Anagni, vivevano in palafitte. Nel 1879, durante uno scavo, nel punto in cui il Sacco forma una cascata (vicino alla stazione ferroviaria di Sgurgola) , si trovò traccia di una antica tribù. Nel terreno di proprietà del sig. Francesco Ambrosi Tommasi, ad una profondità di tre metri, fu trovata un antichissima tomba, dentro la quale fu rinvenuto uno scheletro umano circondato da varie armi di selce, un martello,una lama di pugnale in bronzo e un vaso di terra.
Questi reperti sono conservati oggi nel museo “Luigi Pigorini’ a Roma.
Il Prof. Michele Stefano De Rossi, che esaminò per primo la tomba, pensò che fosse stata scavata con un martello uguale a quello ritrovato nella tomba stessa, perché i tagli del travertino corrispondevano alla forma del martello.
Pensò anche che lo scheletro fosse, probabilmente, di un ernico che abitava nei dintorni nel periodo in cui sorse Anagni o poco dopo.
Il Prof. Pigorini, invece, disse che i resti trovati erano di un uomo dell’età neolitica (età della pietra), nel periodo in cui si andava affermando il commercio di oggetti di bronzo lavorati da popoli più civili provenienti da altre terre. Pensò anche che questi popoli fossero i Siculi di stirpe iberica viste le modalità di sepoltura seguite: la parte anteriore del cranio era stata dipinta di rosso e rosse erano anche le punte delle frecce.

Le origini di Anagni

Per risalire alle origini di Anagni si possono percorrere due vie, quella mitologica e quella storica. Narra un antica leggendache il dio Saturno, fuggito dall!isola di Creta, venne nel Lazio e, come riferìsce lo scrittore Virgilio, diede agli uomini le leggi e gli strumenti per lavorare la terra acquisendo, pertanto, l’appellativo di “falcifero”.
In questo territorio fondò cinque città il cui nome iniziava con la lettera “A”, la prima di tutti gli alfabeti:Ana gni, Alatri, Aquino, Atina, Arpino.
Secondo la storia, invece, Anagni fu fondata molto prima di Roma, da un antichissimo popolo: gli Ernici.

Gli Ernici: il popolo del sasso

Le loro origini sono avvolte nel mistero come quelle degli Etruschi poiché della loro lingua conosciamo soltanto due parole: “buttuti” e “sarnenturn”.
I “buttuti” erano cantile— ne femminili usate durante i riti religiosi, il samentum era un brano di pelle di una vittima sacrificale indossata dal sacerdote.
Il poeta Virgilio racconta che gli Ernici erano bravissimi a lanciare frecce, che andavano in guerra con il piede sinistro nudo e il destro coperto da un calzare chiamato ‘pero’ e che erano tiratori infallibili, miravano e colpivano con precisione i bersagli, lanciando le frecce con il piede destro avanti e il sinistro dietro.
Alcuni storici sostengono che provenissero dalle lontane terre dell’Asia minore, altri invece, ritengono che appartenessero alla grande famiglia delle popolazioni Osco-Sabelliche, fra le quali c’erano i Sabini, i Marsi ed altri popoli italici, tanto che lo stesso Festo afferma che il nome “Ernici” derivi dalla parola “Herne” che i Marsi usavano per indicare i sassi. Fra le poche notizie che gli antichi ci tramandarono attorno al popolo ernico vi è quella dataci da Ovidio secondo la quale presso di loro il mese di marzo sarebbe stato il sesto, quindi per gli ernici l’anno cominciava nel mese di ottobre, come per gli Spartani e per i Fenici.
Tale affermazione avvalora la tesi dei sostenitori dell’origine semitica di molti popoli italiani, fra cui quello ernico.
Per quanto riguarda la città di Anagni, lo scrittore Giacomo Ugone, nel suo libro “Jtaliae et Romae origo’ , spiega che Ananés in greco significa Re, pertanto Anagni doveva essere, con ogni probabilità, l’insediamento più importante degli Ernici.
Un altro scrittore, il Gamurrini, invece, in una lettera alla storico Ambrosi De Magistris, sostiene che il nome “Anagnia” derivi da quello della tribu ermca Annia, che erercitava, rispetto alle altre, un ruolo predominante da tin punto di vista culturale, religioso ed economico.
 
Anagni, capitale sacra della Confederazione Ernica

Strabone racconta che in origine le terre degli ernici si estendevano fin nelle vicinanze di Roma. Il loro territorio aveva per confine ad est il corso superiore del fiume Liri, a nord il fiume Aniene dalle sue sorgenti fino alla zona dove poi nacque la città di Subiaco, ad occidente i monti Tiburtini e le sorgenti del fiume Sacco, a meridione sempre il corso del Sacco fino al suo affluente Cosa.
Questi confini però cambiarono spesso perché gli Ernici furono conquistati dagli Equi e dai Volsci ai quali dovettero cedere alcune città.
In seguito riuscirono a riconquistarne qualcuna come Ferentino, ma altre, come Frosinone, pare siano rimaste per sempre in potere dei Volsci.
A causa delle lotte con i popoli vicini, gli Ernici decisero di riunirsi in una confederazione: la Confederazione Ernica, formata da 16 cantoni indipendenti.
Le città principali erano:
Anagni, Ferentino, Alatri, Frosinone, Batico, Olevano, Veroli, Fumone ed altre di cui non sappiamo il nome esatto.
Anagni ne diventò capitale e centro politico religioso, vi si riunivano i rappresentanti delle città, vi si tenevano le pubbliche assemblee, vi si svolgevano le cerimonie sacre e vi erano custoditi i libri religiosi e le leggi erniche. La città di Anagni diventò ricca e potente sia perché possedeva numerose mandrie di animali, sia perché arrivavano ogni giorno, ai sacerdoti che custodivano i Templi, molte offerte da tutte le altre città. La parte più importante di Anagni è stata sicuramente in ogni tempo la via che da Porta Cerere sale a Porta Santa Maria congiungendo da ponente a levante i punti estremi della città, e che noi oggi conosciamo come Corso Vittorio Emanuele. Lungo questa via si trovava probabilmente la maggior parte dei templi di cui parla Marco Aurelio nella sua lettera al Maestro Frontone. Egli dice infatti: “ma prima di giungere in villa, divergemmo ad Anagni quasi a un miglio dalla via. Quindi visitammo questa antica città, piccioletta in vero, ma piena di molte cose antiche e di sacri edifizi e religiosi riti.
Non v’era angolo che non avesse o un santuario o una cappella o un tempio. V’erano anche molti libri di lino trattanti di cose sacre. Quindi all’uscir dalla porta vi vedemmo scritto d’ambedue le facce: “Sacerdote imponiti il samento».
Domandai a taluno di quella gente che cosa significasse quella parola, mi disse che in lingtia ernica significava un piccolo brano della pelle della vittima solito apporsi in capo dal sacerdote nell’entrare in città”. I templi di cui ci parla Marco Aurelio diventarono chiese cristiane in seguito all’editto dell’anno 435 degli imperatori Teodosio e Valentino che ordinava la distruzione di ogni edificio destinato al culto pagano e la purificazione del luogo con l’imposizione del venerando segno della religione cristiana.
Poiché i templi erano tantissimi anche i sacerdoti erano numerosi e ravvivavano la fede negli dei venerati. Nell’alto dell’Acropoli (dove attualmente sorge la cattedrale) c’era il tempio di Saturno Set, più in basso quello di Diana Trivia, il tempio di Marte si trovava dove ora sorge la chiesa di San Michele, quello di Esculapio dove ora si trova la chiesa di San Marcello. Un tempio dedicato alla dea Libitina stava dove ora c’é la chiesa della Madonna del Popolo, e uno ne sorgeva presso la chiesa dei Santi Cosma e Damiano.
Fuori Anagni, nella zona chiamata “Prati Sabatini” era forse venerata la dea Iside. In questo luogo nel 1875 furono ritrovate delle ossa una collana di ambra incastonata nel legno dai grani di varia grandezza adornati da stelle d’oro e alla quale era appeso un bue di osso nonché una fibula d’argento.

Le mura di Anagni

Le mura che oggi vediamo intorno ad Anagni furono costruite nel periodo in cui regnavano gli ultimi re di Roma forse durante il regno di Servio Tullio, e per questo sono chiamate “Serviane”. Lo storico Tito Livio ne attesta l’esistenza già nell’anno 543 a.C. quando furono colpite da un fulmine. Esse furono costruite con grandi massi di travertino messi gli uni sugli altri in modo che ad uno strato disposto “per lungo” in facciata fosse sovrapposto uno strato disposto “a traverso” con le testate di prospetto.
I loro resti sono conservati molto bene specialmente sul lato settentrionale nella zona di Piscina, tanto che, dopo averle ammirate, Teodoro Mommsen disse che erano “autentici miracoli del primordiale ingegno umano”.
Da questo lato le mura si possono osservare ininterrotte per circa 200 metri. Nella parte chiamata “Arcacci” formano nel mezzo un arco aperto verso l’esterno, sotto cui possiamo osservare tre massicci pilastri di travertino sporgenti dal muro e distanti tra di loro circa quattro metri.
Le arcate servivano a delimitare l’area del foro sovrastante.
Dal momento che la città era costruita sulla cima di una collina che aveva i lati ripidissimi, si diminuì il dislivello con la costruzione a destra e a sinistra di mura simili a quelle descritte e che si possono ancora ammirare tra la zona Bagno e via Dante nonché presso la Cattedrale.
Nella parte meridionale (la zona sotto il monumento presso Porta San Francesco), invece, le mura sono state restaurate molte volte.
Degne di nota sono anche le antichissime fortificazioni erniche di cui oggi rimane qualche resto: le cosidette mura “ciclopiche o pelasgiche”. Gli Ernici le costruirono soltanto nel punto più alto della città: l’Acropoli.
Quest’ultima sembra che avesse due cinta di mura, una parte della cinta inferiore si trova da sotto piazza Gioberti fino a via Dante; una parte della cinta superiore si può vedere nel muro che sostiene il giardino della famiglia Capo.
Vicino alla porta Santa Maria vi è una grande nicchia che non faceva parte del sistema difensivo, ma era sicuramente un tempietto dedicato a qualche divinità.
Le guerre sostenute dagli Ernici
Abbiamo pochi documenti sulle prime guerre combattute dagli Ernici contro gli Equi, i Volsci, i Marzi e i Latini. Sappiamo, però, che all’epoca dei re di Roma, gli Anagnini e gli Ernici si allearono con i Romani e i Tuscolani, nella guerra combattuta da Roma contro Veio, al tempo del re Tullio Ostilio nel 672 a.C. Festo, secondo notizie dateci da Varrone, racconta che il colle Oppio e il colle Cispio che si trovano sull’Esquilino furono chiamati così perché durante una battaglia per difendere Roma dai ribelli Albani, il colle Oppio fu difeso dal condottiero omonimo che capeggiava i Tuscolani e il colle Cispio fu difeso dal condottiero Levio Cispio che capeggiava gli Anagnini. Questa notizia non è riportata da altri storici, ma, anche qualora non fosse vera, serve a dimostrarci che nella tradizione c’erano rapporti di amicizia trà Ernici e Romani. Ritroviamo notizie più attendibili nei racconti di Dionisio che ci parla degli Ernici ai tempi di Tarquinio il Superbo (530 a.C.). Tarquinio il Superbo, diventato re, per estendere la potenza di Roma nel Lazio strinse alleanza con 47 città, sedici delle quali erano erniche. Per tenere unita questa alleanza, istituì delle feste religiose chiamate: ‘ferie latine” che si tenevano ogni anno sul monte Albano nel tempio di Giove Laziale (monte Cave). Quando Tarquinio il Superbo nel 508 a.C. dopo 22 anni di regno fu cacciato da Roma e fu accolto dal re degli etruschi Porsenna, chiese aiuto agli ernici perché lo riportassero sul trono, ma anche i romani chiesero agli ernici di mantenere fede all’alleanza Questi ultimi decisero di aiutare il re spodestato, ma furono fermati da dittatore Aulo Postumio e successivamente, nell’anno 496 a.C. furono battuti presso il lago Regillo da Ottavio Manilio e da Sesto Tarquinio. Dopo questa sconfitta gli Ernici si allearono con i Volsci per combattere nuovamente contro Roma, infatti in un discorso di Menenio riferito da Dionisio, gli Ernici, sono chiamati nemici di Roma (anno 493 a.C.). Nel 497 a.C. il territorio romano venne più volte invaso e devastato dagli Ernici; il senato di Roma inviò ambasciatori, in nome dell’antica alleanza che essi avevano con Tarquinio il Superbo per chiedere spiegazioni su quanto era accaduto. Gli Ernici risposero che l’alleanza per loro non esisteva più, in quanto era finita con la morte del re Tarquinio. Tale risposta suonò come una dichiarazione di guerra per la repubblica romana che inviò contro di loro un esercito comandato dal console Cajo Aquilio Tusco che riportò la vittoria. L’anno successivo, nel 486 a. C. , fu inviato contro gli Ernici il console Spurio Cassio Vicellino che li sconfisse, ne saccheggiò il territorio, li costrinse ad arrendersi e a firmare un’alleanza a uguali condizioni. Di questo trattato ci informano, ma in modo diverso, due storici: Dionisio e Tito Livio. Dionisio sostiene che gli Ernici non avevano perso le loro terre, mentre Tito Livio scrive che furono privati di due terzi del loro territorio. I romani da quel momento ebbero nel loro esercito ausiliari ernici e latini, in cambio aiutarono gli ernici a mandare via dalla città di Ferentino gli Equi e i Volsci che minacciavano di allontanarli del tutto dalla valle del Sacco. All’arrivo dei Galli, però, gli Ernici e i Latini non inviarono più soldati all’ esercito romano, cercando di chiudere l’alleanza che li univa. I Romani richiesero ancora una volta spiega-zione per questo rifiuto, non avendola avuta, nell’anno 362 a.C. inviarono contro gli Ernici un esercito guidato dal console L. Genucio ma furono sconfitti. Elessero allora un dittatore, Appio Claudio che, dopo una sanguinosa battaglia riuscì finalmente a sbaragliare gli Ernici. L’anno seguente la guerra fu portata avanti dai consoli C. Licinio, C. Sulpicio Petico che sconfissero di nuovo gli Ernici e conquistarono Ferentino. Successiva-mente gli Ernici vennero nuovamente attaccati dai consoli romani M. Fabio e M. Ambasto, quindi con lo scopo di sottometterli definitivamente, Roma nell’anno 358 a.C. , spedì contro di loro il console C. Plauzio Proculo che li vinse di nuovo e li cotrinse a firmare l’antica alleanza, pur conservando la loro indipendenza, infatti nell’anno 338 a. C. li troviamo alleati con i Romani nella guerra che questi combatterono contro i Latini e nell’occupazione di Preneste, la loro capitale. Quando i Romani, dopo aver sconfitto i Galli, nell’anno 333 a. C. dichiararono guerra ai Sanniti, gli Ernici inviarono dei soldati in aiuto di questi ultimi, perché temevano che Roma li sottomettesse completamente come aveva fatto prima con i Latini, suoi antichi alleati. Dopo la battaglia i Romani si accorsero che tra i prigionieri c’erano molti anagnini, e dopo averli uccisi, chiesero ai magistrati di Anagni se quesi prigionieri erano corsi volontariamente in aiuto dei Sanniti o erano stati mandati dalle autorità della città. Gli Ernici, allora, si riunirono con i loro rappresentanti nel circo marittimo per decidere se dichiarare o no guerra ai romani, Ferentino Alatri e Veroli non furono d’accordo mentre Anagni e tutti gli altri confederati furono favorevoli. Il disaccordo fra le città della confederazione, indebolì le loro forze nella guerra contro i Romani guidati dai consoli Quinto Marcio Tremulo e Cornelio Arvino. In un primo momento gli Ernici riuscirono ad occupare gli sbocchi e i punti strategici impedendo ai due consoli di scambiarsi messaggi. I Romani, allora, intimoriti, arruolarono molti giovani esperti di armi, formando due forti eserciti pronti ad attaccare, se ce ne fosse stato bisogno; ma il console Marcio Tremulo assalì gli Anagnini e le sconfisse.
Il senato romano dopo questa vicenda decretò che tre città Frniche (Ferentino, Alatri e Veroli), che non avevano combattuto contro Roma, avrebbero mantenuto le proprie leggi e i propri magistrati, conservando l’alleanza, mentre Anagni e le altre città che avevano dichiarato guerra a Roma furono considerate municipi Romani “sine suffragio” cioé, non potevano scegliere i magistrati per amministrare la cosa pubblica, non potevano tenere assemblee oltre i confini del loro territorio, inoltre ai cittadini era vietato il matrimonio ed ogni relazione politica con gli abitanti delle altre città. Anagni, però, fu rispettata come città sacra degli Ernicì in quanto le fu lasciata libertà di scelta nelle cose religiose. Ebbe fine così la Confederazione Frnica che in 180 anni fu sconfitta dai Romani ben 10 volte. Le date di queste vittorie romane sono segnate nelle tavole di marmo poste sulle pareti della reggia al foro romano, di fronte al tempio di Antonino e Faustina.
 
Ordinamento politico di Anagni dopo la sconfitta
Dopo la sconfitta subita nell’anno 306 a. C. ad opera dei romani, Anagni diventò città senza suffragio ed i suoi magistrati conservarono solamente il diritto di occuparsi delle cerimonie sacre. Un prefetto, inviato ogni anno dal pretore urbano di Roma, si occupava dell’amministrazione della Giustizia. Non si sa con precisione per quanto tempo Anagni sia rimasta nella condizione di completa dipendenza, è sicuro comunque che, prima delle guerre sociali, agli anagnini fu concessa la piena cittadinanza che dava loro il diritto al voto.
Nell’anno 85 a. Anagni ridiveniva rnunicipio romano e rimaneva tale per tutto il periodo imperiale.
I suoi abitanti, come quelli degli altri municipi romani, erano divisi in tre classi sociali: i Senatori, i Cavalieri, il Popolo.
All’ordine dei Senatori appartenevano i cittadini più ricchi ed illustri che occupavano le funzioni pubbliche più importanti. Seguiva l’ordine equestre formato dai Cavalieri che esercitavano le altre cariche cittadine. Veniva infine il popolo che si raggruppava nelle associazioni di arti e mestieri.
A tale proposito dobbiamo ricordare l’associazione dei negozianti di fieno, quella dei facchini, quella dei montanari ed altre di cui non abbiamo più traccia.

Anagni nel periodo romano.
Villa Magna

Per oltre un secolo le persone più autorevoli di Roma passarono dei lunghi periodi ad Anagni per la salubrità dell’aria, la bellezza dei luoghi e la vicinanza all’Urbe. Soggiornavano nella “Villa Magna” fatta costruire da Gneo Pompeo di fronte ad Anagni, ai piedi dei monti Lepini, lungo lo stesso versante sii cui sorge la città di Segni. In questa villa si tramavano gli intrighi politici dell’epoca, nei folti boschi che si estendevano tutt’intorno si praticavano battute di caccia al cinghiale, nelle ricche stanze si svolgevano feste magnifiche e sontuosi banchetti in onore degli ospiti che arrivavano dall’Urbe per brevi periodi di riposo. Dopo la morte del capitano Gneo Pompeo la Villa diventò di proprietà del demanio imperiale e restò disabitata per qualche tempo. Venne riaperta dall’imperatore Nerva nel 96 d. C . che la ristrutturò per soggiornarvi durante l’estate.
A Villa Magna trascorsero la loro giovinezza Settimio Severo e Caracalla che fecero selciare la strada che da essa conduce ad Anagni, di questo abbiamo testimonianza in due iscrizioni di cui una si trova collocata nel muro del portico della Cattedrale di faccia all’ingresso. In questa bellissima villa nacque, nel 143 d. C., Evodio, figlio dell’imperatore Antonino Pio e della bellissima schiava Sabina. Egli, benché fosse considerato ‘liberto’ (figlio di una schiava), fu educato insieme a Marco Aurelio tra privilegi e onori legali. Quando suo fratello di latte diventò imperatore, Evodio fu dichiarato uomo libero e prese il nome patrizio di Marco Aurelio Sabiniano. Per la sua grande intelligenza divenne amministratore di Villa Magna e, alla morte di Marco Aurelio, ebbe la carica di segretario e consigliere prima di Commodo e poi di altri imperatori. Fu anche precettore dell’irrequieto Caracalla e sembra che lo abbia istigato ad uccidere il fratello Geta per impadronirsi dell’impero. In seguito Evodio fu condannato a morte e giustiziato proprio per ordine di Caracalla. Con la sua morte Villa Magna perse la stia importanza e la caratteristica di residenza imperiale. Di essa oggi restano alcuni avanzi che ne testimoniano l’antica maestosità: il basamento di un vasto palazzo, a pochi metri da esso i resti di una fontana la cui forma in laterizi è ben conservata. E’ ancora possibile distinguere la scena e l’orchestra di un teatro che si trovava nelle vicinanze, nonché gli avanzi di mura di una costruzione circolare, forse un auditorium e frammenti di statue, di capitelli e di lastre di marmo. Nel 1667 un contadino ritrovò una moneta d’oro dell’epoca di Giustiniano e, in seguito, furono rinvenute monete di bronzo, alcune risalenti all’epoca di Marco Aurelio, di Antonino Pio e di altri imperatori.

La Villa di Cicerone
Un altro interessante monumento dell’epoca romana è la villa di Cicerone.
In essa l’oratore si rifugiava per sfuggire al caldo estivo di Roma e per ricevere i suoi numerosi amici.
Sorgeva presso la fonte Arigliano, alle pendici del colle Santa Cecilia, ad un paio di chilometri dal centro abitato e poco distante dall’antica via del Capitolo, la strada consolare che congiungeva il centro di Anagni con la vallata.
La villa conobbe il massimo splendore dall’anno 77 a . C. fino al 43 a. C. e diventò subito famosa per i sontuosi ricevimenti che vi si svolgevano in onore degli ospiti romani.
Cicerone vi conobbe gli anagnini più illustri del tempo: Quinto Menula e Mustela Tamisio che segretamente erano sostenitori di Clodio, pubblico rivale dello stesso Cicerone.
A questo proposito, si racconta che Menula avesse fatto innalzare una statua in onore di Clodio, durante l’esilio di Cicerone, in casa di questi, divenuta proprietà pubblica.
Dopo secoli di abbandono e di indifferenza, di questa villa rimangono solo pochi ruderi che, però, riescono ancora a suscitare sorpresa e ammirazione per il passato glorioso di Anagni.
L’attuale stemma di Anagni

Gli Arcazzi
Una grandiosa testimonianza del periodo romano di Anagni è costituita dalle “terme di Piscina”, un capolavoro di architettura del I secolo d. C., fatto costruire dal cittadino anagnino Fabio Valente. Amico dell’imperatore Nerone, studiò nei migliori collegi romani. Sin da giovanissimo si dimostrò molto esperto nell’uso delle armi ed impareggiabile stratega militare. Divenne ben presto legato imperiale presso la prima Legione Germanica di Virginio Rufo. Di carattere volitivo ed ambizioso, diventò un personaggio di grande importanza nella Roma del tempo.
Antagonista degli imperatori Galba, Ottone e Vespasiano, raggiunse la sua maggior gloria quando prese il comando supremo di tutte le Legioni Romane in difesa dell’imperatore Vitellio. Era circa il 65 dC. e Fabio Valente, tornato ad Anagni, volle rendere omaggio alla sua città ed ai suoi concittadini, facendo costruire a sue spese le terme pubbliche di “Piscina’ nella zona Val fredda. Questa imponente opera fu edificata in sei anni nel vasto Vallo che, partendo dalla base delle mura romane di Servio Tullio, si estendeva in un lungo corridoio di colonnati fino a raggiungere la zona Tufoli (300 metri più in alto). Il luogo fu scelto per la ricchezza di acque che confluivano nel seddetto vallo detto poi di “Piscina”, benché fosse la meno indicata per l’infelice posizione climatica.
Fabio Valente morì dopo qualche tempo assassinato dai suoi rivali politici. Gli anagnini, per dimostrargli la loro riconoscenza, eressero all’ingresso delle terme una lapide commemorativa dei suoi meriti verso la città natale. Questa lapide rappresenta uno degli ultimi resti delle grandiose terme che fu possibile salvare prima che un’imponente frana distruggesse ciò che rimaneva dell’insigne monumento romano.

Lo stemma di Anagni
Nello stemma di Anagni sono presenti un leone, un’aquila, delle chiavi incrociate e un
manto imperiale sormontato da una corona. Secondo lo storico Ambrosi De Magistris, all’inizio l’insegna di Anagni fu un leone, in seguito quando acquisì la cittadinanza romana, fu aggiunta l’aquila. Pietro Zappasodi, sostiene invece, che l’aquila nello stemma stia a significare la posizione di città capo della confederazione ernica. Le chiavi incrociate furono aggiunte nel XVI secolo, ad indicare l’appartenenza allo stato della Chiesa. Nel 1700 il Papa Innocenzo XIII vi aggiunse il manto imperiale e la corona simile a quello dello stemma di Roma. La più antica figura della stemma anagnino è quella in marmo murata nella facciata anteriore (settentrionale) del palazzo Comunale.
Anagni all’inizio dell’ Era Cristiana

Venuto finalmente Ottaviano a reggere i destini di Roma con il titolo di Imperatore, nasceva a Nazareth, nella Palestina, Gesù.
Con lui ebbe inizio la nuova religione di pace e di amore che si diffuse rapidamente tra tutti gli uomini. Anagni, definita dagli antichi poeti storici “Città splendida, città ricca, città nella quale crescono abbondantemente i cereali”, donerà a questa nuova religione
ben quattro figli illustri:
Innocenzo III (Lotario Conti) 1198-1216, Gregorio IX (Ugolino Conti) 1227-1241, Alessandro IV (Rainaldo di Jenne) 1254-1261, Bonifacio VIII (Benedetto Cajetani)
1294-1303.

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